Il diritto finanziario è quella disciplina giuridica che studia l’attività finanziaria degli enti pubblici, cioè l’attività di reperimento delle risorse da utilizzare per il soddisfacimento dei bisogni pubblici.
Scopo del Diritto finanziario
Lo studio del diritto finanziario è finalizzato all’individuazione del sistema fiscale più idoneo per raggiungere il benessere sociale, lo sviluppo economico, una distribuzione equa della ricchezza e del reddito prodotto, l’efficiente allocazione delle risorse e la stabilità della crescita economica.
L’unità del Diritto finanziario (come ramo del Diritto pubblico) con la Scienza delle Finanze, i due insegnamenti sono coordinati e complementari e studiano lo stesso fenomeno, cioè le direttive politiche, la struttura giuridica e la funzione economica della finanza.
Strumenti del Diritto finanziario
Nel settore dell’economia di mercato, le scelte dei singoli sono frutto di libera volontà individuale. Nel settore dell’economia pubblica, il soggetto attivo (operatore pubblico) fa le sue scelte in condizioni di superiorità e le impone ai soggetti passivi (individui).
Pertanto, il Diritto finanziario si occupa dei rapporti economici svolti in un assetto coercitivo, finalizzati ad accrescere il benessere collettivo.
Massimizzazione del benessere della collettività
Come si massimizza il benessere della collettività ? Vi sono in proposito diverse teorie economiche.
La teoria di Pareto sostiene che il benessere aumenta se aumenta l’utilità dei beni di un individuo senza diminuire quella degli altri soggetti. In una economia perfettamente concorrenziale, si realizza una efficiente allocazione delle risorse e pertanto la politica redistributiva non può essere giudicata migliore o peggiore di altre, ma solo diversa.
Inoltre, nell’equilibrio di concorrenza perfetta, lo Stato deve intervenire solo in caso di:
- “fallimento del mercato”, cioè se manca la concorrenza perfetta o i rendimenti di scala. I rendimenti di scala mancano quando, aumentando i fattori produttivi, non si aumenta in proporzione la quantità prodotta di beni perché vi sono “diseconomie di scala” che aprono le porte alla concentrazione produttiva ed ai monopoli.
- “fenomeni di esternalità “, cioè diseconomie esterne (si pensi a due terreni contigui, uno adibito a frutteto, l’altro ospitante una fabbrica con le ciminiere) o economie esterne (si pensi a due terreni contigui, uno adibito a frutteto, l’altro ad apicoltura).
- presenza di beni pubblici, che non sono convenienti perché non è possibile escludere dal loro godimento chi non paga.
- presenza di “asimmetria nelle informazioni”, che elide la trasparenza dei mercati in quanto le informazioni, come tutti gli altri beni, sono costose.
Le teorie volontaristiche si contrappongono alla teoria di Pareto ma hanno un punto in comune: entrambe sostengono che in una economia di mercato devono avvenire gli scambi. Ma, mentre per Pareto lo scambio è basato su un regime di coazione, per le teorie volontaristiche il fenomeno finanziario si svolge su basi volontaristiche e va analizzato in termini di utilità e costo marginale.