Il diritto fondamentale all’istruzione dei minori portatori di handicap e l’assistenza specializzata di sostegno a ciò funzionale non possono essere compressi sulla base di esigenze statali di bilancio o vincoli finanziari. A garanzia di tale diritto, è necessario assicurare un sostegno concreto ed effettivo.
Con la recente sentenza del 10 settembre 2020 (“Sentenza”), la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (“Corte EDU”) ha chiarito che, in assenza di ulteriori e diverse motivazioni, lo studente portatore di handicap a cui sia stato negato l’ausilio dell’assistenza specializzata ha diritto al risarcimento del danno subito.
La Sentenza consolida l’orientamento giurisprudenziale già intrapreso in ambito nazionale, culminato nella sentenza n. 275/2016 della Corte Costituzionale. La Consulta, sottolineando la natura «fondamentale» del diritto all’istruzione dei minori portatori di handicap, aveva affermato che tale diritto rappresenta un «limite invalicabile all’intervento discrezionale del legislatore, così che il nucleo di garanzie minime per renderlo effettivo dovrebbe essere assicurato al di là di ogni esigenza di bilancio» (in senso analogo, Corte Cost. sent. 83/2019).
Anche la giurisprudenza amministrativa aveva affermato che «le posizioni degli alunni disabili devono prevalere sulle esigenze di natura finanziaria» (da ultimo, TAR Lazio, n. 9188/2018; in senso analogo, TAR Lazio n. 5637/2013).
IL CASO: Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. i – Sentenza del 10 settembre 2020, Ricorso n. 59751/2015 (G.L. c. Italia)
Con ricorso promosso nel 2015, una studentessa italiana portatrice di handicap aveva adito la Corte EDU lamentando la violazione del proprio diritto all’istruzione e del divieto di discriminazioni fondate su una condizione di handicap.
Il ricorso traeva origine dai seguenti fatti: un ente locale italiano non le aveva garantito, durante la scuola primaria, il supporto di un insegnante di sostegno nonché dell’assistenza specializzata a cui avrebbe avuto diritto ex art. 13, co. 3, l. 104/1992.
L’ente locale aveva giustificato il proprio operato in ragione della riduzione dei fondi stanziati per provvedere a ciò. La studentessa aveva quindi adito il giudice amministrativo per accertare la violazione di legge dell’ente locale e ottenerne la condanna alla corresponsione di un indennizzo. All’esito dei due gradi di giudizio, i giudici amministrativi avevano ritenuto le pretese della ricorrente non fondate, ritenendo legittimo il comportamento dell’ente alla luce delle restrizioni di bilancio.
Con la Sentenza, la Corte EDU ha accolto all’unanimità il ricorso e condannato lo Stato italiano al risarcimento danni (quantificati in € 12.520,00), ritenendo che la condotta dedotta violasse l’art. 14 CEDU, in combinato disposto con l’art. 2 del Prot. addizionale alla CEDU. La condotta è stata ritenuta particolarmente grave in quanto rivolta nei confronti di una studentessa iscritta al ciclo d’istruzione primario, fondamentale per garantire le basi dell’insegnamento e l’integrazione sociale degli studenti.
La Corte EDU ha ricordato che il diritto all’istruzione dei minori portatori di handicap assume fondamentale importanza in numerose fonti statali e internazionali. Solo considerazioni “molto forti” potrebbero, ipoteticamente, giustificare limitazioni dei diritti fondamentali di categorie particolarmente vulnerabile: pertanto, in questi casi, il margine di apprezzamento a disposizione dello Stato viene ì notevolmente ridotto.
La Corte EDU ha anche criticato le statuizioni dei giudici amministrativi italiani, che avevano erroneamente rigettato il ricorso della studentessa. La carenza di sufficienti risorse finanziarie non giustifica, di per sé, discriminazioni dei minori portatori di handicap e lesioni del loro diritto all’istruzione. L’ente locale, senza valide ragioni, si era limitato a omettere l’assistenza dovuta non “distribuendo”, equamente, le conseguenze negative della carenza di risorse tra gli studenti portatori di handicap e gli studenti non portatori di handicap. I giudici amministrativi italiani avevano perciò erroneamente omesso di valutare la mancata ricerca di un contemperamento degli interessi rilevanti in gioco.